DONARE LA VISTA AD UN NON VEDENTE E’ UN SOGNO POSSIBILE ?

INTRODUZIONE

Una delle disgrazie è più grandi che possono capitare ad un bambino che nasce oppure ad una persona matura colpita da incidenti è senza dubbio quella do non poter godere del dono della vista.

Io ho avuto modo di vivere da vicino questa tragedia quando , da bambino mi è capitato di passare delle settimane di vacanza al mare in compagnia di un mio coetaneo affetto da quella che è senza dubbio la disgrazia tra quelle più gravi che possono colpire un essere umano: quella di essere completa,mente cieco. Non riuscirò mai a descrivere compiutamente il dolore che questo fatto ha provocato in me. Vivere con lui delle mezze giornate in spiaggia, che io passavo molto volentieri i essendo ben conscio dell’aiuto che gli davo, mi dava modo si constatare le mille occasioni di difficoltà estrema del mio povero amico e mi rendevo ben conto di quanto più grande del mio dovesse essere il dolore, il dispiacere che egli stesso provava. Questi sentimenti sono rimasti impressi in mè con una profondità inimmaginabile. Continuavo a domandarmi come era possibile che qualcuno dovesse trovarsi in quelle condiziono davvero disperate.

FANTASIE DI RAGAZZINO

Ma c’era in mè un’altra caratteristica che veniva prepotentemente a galla e che in seguito segnerà in un certo modo tutta la mia vita: la passione che sussisteva fin da allora per la tecnica e cioè per quella facoltà, quell’irrefrenabile impegno della persona umana di tentare sempre la ricerca di nuove ed efficaci regole ed attività per risolvere o migliorare i problemi posti dalla natura.

Io, pur bambino, sentendo raccontare le meraviglie di tutto quello che l’uomo aveva fino allora creato, mi chiedevo come fosse possibile anche trovare qualche meccanismo, qualche modo di fare che potesse donare almeno delle sensazione del mondo reale a tutti i non vedenti.

Ricordo che allora c’era un veicolo che mi colpiva continuamente nella fantasia ed era la locomotiva, la macchina vapore dei treni che con i suoi stantuffi, con gli sbuffi di fumo e di vapore bianco dal grande fumaiolo che lo sovrastava, con i fischi fortissimi che ne annunciavano le manovre. Ecco tutto questo mi affascinava in maniera smisurata.

C’era una seconda struttura che mi colpiva, sia pur in maniera diversa prendendomi però dal mio lato romantico ed era la ruota del mulino ad acqua che con la sua forza faceva girare all’interno dell’edificio una grande serie di meccanismi per me misteriosi ma estremante affascinanti.

Ecco questi due elementi riempivano spessissimo i miei pensieri e quando riflettevo del mio amico cieco mi continuavo a chiedere : ma se si è riusciti a creare, a costruire meccanismi così complessi, è impossibile non si possa inventare qualcosa di molto più piccolo ma molto molto più grande sia di una locomotiva che di un mulino ad acqua. Questa cosa piccola, nella mia mente, doveva per forza esistere e riuscire a fargli vedere, sentire in qualche modo tutto quello che lo circondava e di cui egli non sapeva nulla. Alle volte pensavo ai colori che non aveva mai visto e cercavo di raccontargli il colore del mare che era simile a quello del cielo che sta sopra ma capivo che non riuscivo per nulla a soddisfarlo.

FANTASIE E REALTA’ – L’ALFABETO MORSE

Poi, diventato più grande, quando ormai sapevo leggere e scrivere, ebbi modo di vedere il telegrafo e di capire che con quel meccanismo si riusciva a trasformare le lettere ed i numeri in qualcosa di diverso che poteva venir trasmesso via filo. Mi chiedevo : ma possibile che qualcuno non riesca a trasformare la visione in qualche cosa di diverso che trasmesso al non vedente nella stessa modalità del telegrafo, non potesse fargli avere una sensazione della vista degli oggetti. La risposta era sempre negativa ma un giorno fui colpito da un evento straordinario: l’alfabeto Morse che mi aprì un immenso squarcio di luce, mi fece comprendere un principio per mè grandioso, sublime: qualcuno aveva saputo trasformare una cosa visibile (in questo caso le lettere dell’alfabeto ed i numeri) in un miracoloso espediente percepibile da un non vedente. Io capii che finalmente era stata aperta quella possibilità grandiosa e fino allora inconcepibile di far capire ad un non vedente come erano fatte le lettere e da questo le intere frasi. Per farlo il cieco usava soltanto il polpastrello dell’indice con il quale, scorrendo sulle piccole protuberanze del Morse, riusciva a ritrarne immediatamente un’idea. Sembrerà impossibile ma quella volta io capii perfettamente che iniziava quell’era che sarebbe man mano progredita fino a a fargli percepire qualcosa via via più grande, più importante fino ad arrivare, non saprei dire quando, riuscire a penetrare addirittura nel suo cervello e fargli vedere la luce , i colori la forma delle cose. Si capisce bene come tutto questo per mè fosse semplicemente fantasia invece non lo era come non lo è nemmeno oggi, tanto è vero che sono in corso di perfezionamento dei sistemi di intervento all’interno del cervello del cieco per riuscire a ridargli la vista. Resta però la realtà di una cosa grande : per mè l’alfabeto Morse aveva aperto una strada lunga fin che si vuole ma che sarebbe giunta ad un risultato vero. Questa convinzione si formò vivissima in mè, attraverso gli anni cambiò, continuò a migliorare ma restò allora e resta tutt’oggi fissa: aperta la strada bastava aspettare il progresso che montava verso l’alto con una grande frenesia ma che continuava fino ad ad arrivare, sicuramente, ad una una conclusione , a tutt’oggi ancora inarrivabile ma comunque certa.

LA TELEVISIONE APRE UNA STRADA IMPORTANTE

Passarono alcuni anni e sempre avevo fissa in mente la stessa idea. Morse con i suoi sei puntini piccoli piccoli ma intelligenti aveva fatto un vero miracolo : la strada era aperta ora basta seguirla senza fermarsi mai di progredire.

Io stesso cominciai a ragionare. Ma se Morse con soli sei puntini riesce a trasmettere al non vedente intere frasi, intere pagine, interi libri, com’è possibile che non si possa modificare il sistema e far percepire qualcosa di più?.

La vera rivoluzione io l’ebbi quando arrivò la televisione. Allora capii che le bellissime immagini, prima in bianco e nero e poi a colori che si vedevano nel video erano esattamente gli stessi punti di Morse ma con una grande diversità ; Morse utilizzava soltanto sei puntini in tutto, la televisione usava centinaia di migliaia di punti (chiamati pixel) ma il principio era sempre lo stesso e sarebbe bastato trovare il modo di trasferire al cieco non soltanto quei sei punti che egli percepiva scorrendo con il polpastrello dell’indice sulla scritta fatta con i punti in rilievo, ma moltissimi di quei punti affinché in maniera del tutto analoga a quello che succede nello schermo della TV un numero così elevato di piccolissimi punti potesse ricostruire su una parte sensibile del corpo del non vedente una immaginare semplificata ma pur sempre simile a quella televisiva. A questo punto è da rilevare la grande attitudine che caratterizza i ciechi che sono bravissimi nell’interpretare segnali esterni e costruire delle visioni virtuali del contenuto da essi costituito. Pertanto, qualora si riuscisse a fargli percepire molti punti in un qualsiasi modo, la loro intelligenza sarebbe prontissima a ricavarne un’immagine virtuale.

Una cosa intanto mi appariva chiara: il fermarsi a soli sei punti costituiva una costrizione assurda di fronte alle migliaia di punti che costituiscono l’immagine televisiva. Pertanto la prima cosa da fare era quella di ampliare la superficie sensibile del cieco che si poteva benissimo attuare utilizzando un’area del corpo umano ben più vasta di quella del polpastrello del dito indice. La mia mente corse subito ad una parte del corpo umano che fosse sensibile ed avesse un’area ben maggiore e quindi in grado di contenere moltissimi puntini in più di quelli morse: il mio pensiero arrivò subito al ventre del cieco. Pensavo: se fosse possibile trasmettervi dei puntini razionalmente piazzati su un’ampia area delle pelle del cieco, pelle che è di per sé in grado di notare la presenza ed ubicazione dell’oggetto, io potrei disegnare nel ventre delle figure geometriche ad esempio una quadrato, un cerchio, un triangolo oppure una lettera dell’alfabeto non più rappresentata da soli sei punti ma da una moltitudine di punti percepibili. Per fare un esempio : io trasmetto una lettera A maiuscola oppure minuscola il cieco può senza dubbio cominciare ad avere una impressione vera di cos’è la scrittura ed andando via via più avanti leggere nella sua interezza ed esatta composizione una riga di un libro stampato. Nella risoluzione di questo problema io avevo trovato la cosa più importante: avevo definito quale poteva essere una parte sensibile alla quale poter trasmettere certe immagini sia pure molto semplici ma pur sempre immagini del vero. Quello da me superato era senza dubbio un passo gigante. Forse quello più importante di tutti come era l’aver dimostrato che il non vedente aveva delle possibilità grandi di ricevere segnali di visione reale.

L’ORGANIZZAZIONE ESTERNA ALLA PERSONA NON VEDENTE: NASCE L’INFORMATICA

Ciò che mancava totalmente era l’organizzazione esterna alla persona del non vedente e quindi sicuramente fattibile con con lo straordinario progresso della tecnica quale si constatava in pieno e giorno per giorno.

Ad un cero punto venne alla luce una novità straordinaria che avrebbe sconvolto completamente il mondo intero introducendo una tecnica che avrebbe rivoluzionato interamente il modo di operare in tutti i settori del lavoro, della cultura, dell’intrattenimento insomma che stava per arrivare lo sconvolgimento totale dell’intero globo terrestre e dei suoi abitanti. Questa rivoluzionaria scoperta era l’informatica. Man mano che mi rendevo conto dell’universalità del computer sentii chiaramente che questa enorme versatilità comprendeva anche la risoluzione del problema dei non vedenti. Vedremo più avanti che questa possibilità aperta dal computer sarà cosi avanzata da entrare addirittura nel modificare le cellule dell’occhio malato ottenendo in futuro dei vantaggi notevolissimi che sono ai nostri giorni già in avanzata fase di studio con la ritrovata certezza del miracolo vero da me sognato fin dalla prima gioventù : donare la vista ai non vedenti. È un traguardo non ancora raggiunto. Ma già in fase di sperimentazione e quindi di ormai prossima attuazione.

Nel frattempo io continuo nella descrizione della mia storia della percezione visiva da offrire ai non vedenti con una tecnica ancora povera ma tale da dare da subito un grandissimo ausilio .

LO SCHEMA DELL’APPARECCHIO

Con l’arrivo del computer e con la sua immensa diffusione, mi appare subito possibile progettare lo strumento esterno con il quale il non vedente possa inquadrare la scena che vuole osservare, scena che occorrerà poi trasformare in qualcosa da lui percepibile. L’apparecchio che egli deve indossare non può che essere costituito un paio di occhiali i quali al posto delle lenti abbiano due mini telecamere orientabili meccanicamente tramite l‘uso di una pulsantiera che il cieco tiene in mano e con con le quali riprende la scena che lo interessa.

Una volta ripresa la scena sarà per i computer facilissimo trasformarla allo scopo di renderla atta al suo trasferimento a sé stesso non vedente. In questa operazione bisogna sempre far base sui concetti dell’alfabeto Morse che, fino al giorno d’oggi, rappresenta il solo train d’union diretto tra oggetto e cieco essendo gli altri mezzi tutti basati sui suoni. Ovviamente bisogna tener in debito conto che Morse trasmetteva in tutto sei punti mentre la nuova apparecchiatura deve trasmette un numero enorme di punti : allora si trattava di sole lettere dell’alfabeto ora si tratta di un immaginario complesso di elementi consistenti in centinaia di migliaia di punti chiamati tecnicamente pixel. La prima azione da fare sarà quindi quella di praticare una grande semplificazione all’immagine. Preliminarmente ho pensato che deve assolutamente trattarsi di immagine in bianco e nero non essendo, per il momento, possibile nemmeno pensare al colore. Nello stesso tempo sarà necessario limitarsi solo ad immagini molto semplici. Tanto per fare un esempio quando un cieco cammina sarebbe già tanto potergli far intuire in tempo reale il rettangolo della porta da attraversare. Per il computer niente di più facile che trasformare un’immagine realistica della porta che sta di fronte ed è dotata di tutti i suoi particolari come la cornice di contorno, la rigatura del legno che la compongono mentre per il non vedente sarebbe sufficiente conoscere il contorno della porta e la posizione della maniglia con cui aprirla. Ebbene per il PC è cosa semplice tracciare in color bianco la superficie della parete posta attorno alla porta ed in colore nero il rettangolo della porta sul quale sia rappresentato con colore un po’ più chiaro la maniglia. La scelta delle intensità del nero, del grigio e del bianco dovrebbe poterla scegliere lo stesso non vedente in modo da adeguare sempre ,l’immagine a quello che egli riesce a percepire. Una volta determinata questa immagine da trasmettere resta da definire le modalità per farlo.

LA TRASMISSIONE DELL’IMMAGINE AL NON VEDENTE

A tale proposito si potrebbe ricorrere ad una straordinaria proprietà dei cristalli piezoelettrici che hanno una eccezionale caratteristica: si deformano in lunghezza in funzione delle immissione di energia elettrica. Ora se si avessero molti sottili cristalli piezoelettrici fissati in verticale l’uno vicino all’altro ad una piastra flessibile , cioè ad una specie di quadrato di grossa stoffa o materiale plastico flessibile da 30 cm di lato si verrebbe a costituire niente di meno che una specie di schermo Tv che contiene in superficie le immagini formate non dai pixel televisivi ma da tanti cristalli piezometrici atti a rappresentare l’immagine non in modo visibile come accade nello schermo della TV bensì con la vibrazione continuativa dei puntini piezometrici. Al riguardo farei un esempio semplice. Volendo rappresentare un solo cerchio che piano piano si trasforma in un’ellisse, sulla piastra sensitiva posta sul ventre del cieco ci sarebbero all’inizio una fila circolare di vibranti cristalli piezoelettrici disposti a cerchio e chiaramente percepibili in quanto vibrano in tempo reale solo quelli facenti parte del cerchio. In quel momento il cieco percepirebbe attorno al suo ventre una doppia o tripla fila di punte vibranti disposte perfettamente in cerchio. Nella su mente, che sappiamo molto predisposta per percepire tutti i contatti della sua pelle, si formerebbe chiaramente la forma di un cerchio. Quando poi avesse luogo la progressiva deformazione del cerchio in ellisse il non vedente sarebbe in grado di percepire via via che avviene la trasformazione medesima.

Giunto a questo punto ritengo di aver dato una immagine approssimativa dell’apparecchio che io immagini potrebbe aiutare i ciechi.

DESCRIZIONE SOMMARIA DELL’APPARECCHIATURA COMPLETA

Detto sommariamente si gratterebbe di un paio di occhiali con due piccole telecamere le quali riprendono l’immagine che interessa. Un piccolo computer tenuto in spalla provvede alla trasformazione della stessa immagine in soli colori neri e bianchi ed a rappresentarli facendo vibrare i cristalli piezometrici presenti un un larga fascia indossata sul ventre e tenuta ferma da cinghia posteriore.

La immagine descritta è solo indicativa e ben lontana da quella reale da mè pensata e di cui ritengo inutile disperdermi qui nella spiegazione se non per dire che le immagini sono sempre riprese dalle due telecamere e quindi sono sempre in numero di due ma resta al cieco il compito di regolarle portando a coincidere solo quella doppia immagine che lo interessa. Per esempio se si trattasse di un albero, egli vedrebbe due immagini dello stesso albero che bisogna sovrapporre l’una all’altra facendo ruotare le telecamerine. Con questo movimento il sistema , tramite un suono continuo, farebbe capire un altro elemento importante come è quello della distanza. Continuando nell’immagine dell’albero se esso fosse lontanissimo le due telecamere sarebbero parallele mentre se fosse lì vicino le telecamere si orienterebbero verso il centro. Il sistema tiene conto di questo trasmettendo un suono acuto per camere parallele e sempre più grave man mano che esse girano verso il centro. Da questo suono il non vedente capirebbe in continuazione la distanza dell’oggetto che sta “vedendo”

Ripeto che in questa sede sarebbe inutile spiegare i molti particolari delle apparecchiature basterà solo dire che, secondo lo scrivente, quello descritto sarebbe un apparecchio molto utile per un non vedente. La sua utilità scaltrirebbe soprattutto nell’uso del computer che egli potrebbe facilmente adottare.

Per chi volesse approfondire l’argomento potrebbe aprire l’articolo internet dove si trova una descrizione completa dell’apparecchio “sensore per non vedenti” : https://www.altratecnica.it/idee-2/visore-per-ciechi/

A conferma di quanto sopra riporto qui di seguito il messaggio di una non vedente che ha usato una apparecchiatura più semplificata di quella descritta e chiamata Visio. Dalla lettura del messaggio si può ben capirne l’utilità

UN ESEMPIO PRATICO : L’APPARECCHIATURA “VISIO”

VISIO: UN APPARECCHIO SIMILE AL VISORE MA GIA’ COSTRUITO E FUNZIONANTE. Ecco la testimonianza di una non vedente che lo usa sistematicamente. Vania e “visio” – Enea – Frascati 30 agosto – 3 settembre 1999 Enea – Frascati 30 agosto 1999 Indosso visio e, per la prima volta in vita mia, mi trovo davanti ad una lavagna sulla quale posso tracciare segni e ad averne un riscontro. Mi rendo conto, con una certa soddisfazione, di poter non soltanto sentire la polvere di gesso sulla lavagna, come avrei fatto di solito, ma anche di poter ritrovare il segno con visio avendone un riscontro molto più sicuro di quello tattile in quanto, quest’ultimo, rischia di portarsi via il segno stesso. Inizialmente traccio un solo segno obliquo o parallelo, e percepirlo con visio mi sembra abbastanza semplice. Cancello e fare ciò mi piace quasi di più che tracciare segni. Decido di fare segni: quadrati e rettangoli. Questa volta fatico di più ad averne il riscontro con visio. Mi è difficile percepire soprattutto le linee orizzontali, i lati corti del rettangolo, perchè sono più piccoli. Riesco poi a percepire chiaramente quadrati e rettangoli ma soltanto dopo che ho finito di disegnarli. Se cerco infatti, mentre li sto ancora tracciando, di trovarne un’estremità per chiuderla, faccio ancora fatica. Ad un certo momento scrivo il mio nome, niente di male, certo, senonché, quando cerco il riscontro con visio, non capisco nulla, cosa, questa, che vale anche per i tentativi di disegno di case che faccio in seguito. Accendo e spengo la luce e i segni diventano percepibili o meno, a seconda che la luce, appunto, sia presente o no. Allontanandomi dalla lavagna trovo che i quadrati diventano più piccoli e ciò mi dà il senso della distanza. Mi sposto a destra oltre la lavagna. Tocco un interruttore e un termostato e poi li guardo con visio. Esco dalla stanza. Mi fermo sulla porta e guardo dentro la stanza da dove sono uscita. Chiedo se dentro la stanza c’è luce e mi viene risposto di sì, come, del resto, c’è luce anche nel corridoio dove mi trovo. In realtà chiedo non perché non percepisca la luce ma anzi perché, per la prima volta, la percepisco come qualcosa di così denso e pieno che mi viene da domandarmi se sia proprio lei. È come quando sollevo una scatola e mi rendo conto che è pesante, piena appunto, e che devo assolutamente guardarvi dentro, non solo per vedere che cosa c’è, ma anche per aprirmi uno spazio nel denso. Provo curiosità ma soprattutto un’emozione contrastante in quanto da un lato vorrei entrare nella stanza ma dall’altro, e questa è la sensazione più forte, so che, entrando, finirebbe l’impressione di pienezza perché, io stessa, bucherei la luce. 31 agosto 1999 Indosso visio ed incomincio ad esplorare la stanza in cui mi trovo. Ho la porta d’entrata alle spalle e la mia attenzione è catturata da qualche cosa, due righe verticali, che si trova sulla parete che mi sta di fronte ossia quella opposta alla parete dove si trova la porta. Mi avvicino. Sulla parete effettivamente, c’è una finestra ma, toccandola e rendendomi conto delle sue dimensioni, capisco che le due righe verticali, essendo troppo vicine l’una all’altra, non possono essere i montanti. Pina mi informa che fuori ci sono due alberi abbastanza vicini l’uno all’altro ed io penso, quindi, che le due righe verticali e parallele che io percepisco potrebbero essere proprio loro, gli alberi appunto e che, trovandomi io ad una certa distanza da essi, le due righe nelle quali si traducono appaiono molto più ravvicinate l’una all’altra di quanto gli alberi lo siano nella realtà. Riesco poi ad individuare i montanti della finestra e, spostandomi sulla parete di sinistra rispetto alla porta d’entrata, trovo qualche cosa che scopro, toccandolo, essere un mobile-armadio. Antonio mi porta una candela accesa poiché avevo manifestato il desiderio di percepirne la luce con visio. Mi siedo quindi al tavolo e cerco di percepire oltre che il calore che effettivamente mi arriva, la luce della fiamma. Non è facile, un po’ perché io muovo impercettibilmente la testa e un po’ perché anche la fiamma oscilla. Alla fine scopriamo che l’unico modo per percepire la luce della fiamma è di farla riflettere su una superficie quale potrebbe essere quella della lavagna. Nel pomeriggio cerco di individuare le forme presenti sulle pareti del corridoio per poi sceglierne una e da lì, come da un centro, allargarmi verso altre. Mi fermo, perché, alla sola individuazione della forma e delle dimensioni di un quadro, mi rendo conto di impiegare, ed è soltanto per questo, un tempo troppo lungo e ciò è indice di stanchezza. 1 settembre 1999 Indosso visio ed incomincio ad esplorare la stanza-fata in cui mi trovo. Scelgo la lavagna come punto di partenza per poi allargarmi a macchia d’olio. Individuo abbastanza le linee verticali e orizzontali che definiscono i bordi della lavagna appunto, quindi mi sposto a destra e dopo il termostato e l’interruttore della luce, che tocco e poi trovo con visio, mi sposto sulla porta di cui trovo il montante sinistro, prima con visio e poi con le mani. Percepisco poi, sempre sulla porta, un’altra linea verticale e, toccandola, scopro che si tratta effettivamente di un’asticella rialzata rispetto alla restante superficie della porta stessa. Mi sposto ancora sulla parete che si trova a destra rispetto a quella della porta e della lavagna. Individuo gli angoli del mobile armadio e alcune venature del legno delle quali mi posso rendere conto soltanto con visio e chiedendo successivamente a chi mi sta vicino, perché a tatto sono difficilmente percepibili. Sulla parete opposta alla porta ritrovo la finestra con la quale è come se ormai avessi un rapporto confidenziale. La individuo perché mi arriva la luce da fuori e, dopo poco, ritrovo i due alberi e, con un po’ di ricerca arrivano anche i montanti. Trovo poi una linea verticale più corta che è sempre nei pressi della finestra. Incuriosita, muovo la mano e trovo una caraffa di plastica. Mi sposto sulla parete opposta a quella dell’armadio. C’è un tavolo del quale mi rendo conto perché lo tocco. Guardo con visio. Ci sono linee orizzontali che, toccando, mi rendo conto essere cartelline. Percepisco poi con visio un oggetto che credo essere il mouse che si trova sempre sul tavolo. In realtà mi viene fatto notare che ciò che io sto guardando non può essere il mouse in quanto secondo la mia inclinazione del collo sto guardando più lontano rispetto a dove sono le mie mani ed il mouse. Provo allora ad indicare il punto dove percepisco l’oggetto anche se mi rendo conto di faticare ancora a coordinare la mia mano che indica con il mio sguardo anche perché, forse, devo mettere bene a fuoco il senso della distanza degli oggetti. Dopo un po’ trovo comunque ciò che effettivamente stavo guardando: un telecomando. Nel pomeriggio cerco nuovamente di individuare i quadri sulle pareti. Mi è più facile percepire le linee orizzontali e verticali della figura che quelle dei bordi per non dire poi degli spigoli che quasi non percepisco. 2 settembre 1999 Siamo seduti intorno al tavolo nella stanza di Antonio ed io indosso visio. Seduto di fronte a me c’è Antonio che parla ed io percepisco due righe verticali ed una, più bassa orizzontale: trattasi delle due linee dei suoi lunghi capelli e più in basso della linea degli occhiali. Mi volto verso sinistra e verso destra dove trovo rispettivamente Riccardo e mia madre ma nonostante l’uno canti e l’altra mi racconti una favola, faccio molta fatica con visio a percepire le loro bocche che si muovono. Esploro poi la stanza di Antonio. Percepisco abbastanza distintamente alcune linee verticali ed orizzontali che possono essere i bordi di alcuni oggetti. Nel pomeriggio torno sui quadri anzi, per la precisione, prima sul cartello dell’estintore e poi sui quadri. Percepisco abbastanza distintamente alcune linee verticali ed orizzontali dei bordi ma faccio fatica a trovare il bordo di congiunzione: lo spigolo. Su suggerimento di Antonio sposto lo spigolo verso il centro del tappetino e finalmente lo percepisco meglio. La sua percezione, dello spigolo appunto, non è ancora sicurissima: ogni tanto lo perdo. Cammino per il corridoio guardando a terra. Arrivo alle scale in salita che percepisco su visio. Esco. Faccio la scala esterna in discesa e, a differenza della volta precedente, percepisco nettamente qualche cosa che mi viene detto essere la mia ombra. La stessa cosa avviene dopo aver risalito la scala prima di rientrare. 3 settembre 1999 Siamo nuovamente seduti nella stanza di Antonio ed indosso visio. Mentre parliamo io individuo nuovamente le due linee verticali e quella, più bassa, orizzontale degli occhiali che mi indicano il viso di Antonio, appunto. Nel pomeriggio ripercorro la stanza Fata che ormai conosco; si aggiunge soltanto, dopo il suggerimento di Loredana, una seconda finestra che si trova sulla parete dove c’è anche la prima. La individuo effettivamente anche con visio e mi rendo conto che guardando la parete con la porta della stanza alle spalle, essa si trova a destra. Esco nel corridoio e mi soffermo qualche momento sui quadri dove, come avviene spesso, individuo più facilmente alcune linee verticali ed orizzontali all’interno della figura che non i contorni. Cammino lungo il corridoio e so di dirigermi verso le scale. Nel frattempo guardo a terra e, in seguito, mia madre mi informa che, rispetto a quando non indosso visio, cammino dritta. Nella normalità, infatti, tendo un poco a deviare rispetto ad una linea ideale. Tornando alle scale, nella mia rappresentazione del corridoio esse sono più lontane che nella realtà. Cammino e mentre sto pensando di dover camminare ancora parecchio, su visio ho la percezione chiara delle righe orizzontali che non dubito, perché le ho già viste ed alla percezione si associa subito il ricordo, che quelle sono le scale. Rallento perché non ho ancora idea della distanza alla quale si trovano rispetto a me. È per questo, e non per una mancanza di percezione, che mi scontro con esse prima di salirle. In discesa non percepisco le scale su visio mentre trovo con facilità la ringhiera. Realizzo così che il giorno prima avevo percepito le scale a scendere perché eravamo all’esterno in piena luce solare. Sono comunque molto contenta e, ripensandoci mentre scrivo, anche un po’ emozionata, perché per la prima volta