Verde distesa soleggiata di erba dorata, tremolante alla brezza primaverile.
Sento il Tegorzo cantare tra i sassi al limitare del prato verso San Valentino,
celato al mio sguardo dagli alberi rinati alle foglie.
Cammino, come al solito sola, sotto una pioggia di petali bianchi del vicino frutteto,
misti ai soffioni del tarassaco che i vento trasporta lievemente per l’aria.
Tra l’erba spiccano gialle macchie di ranuncoli
intercalate ad altre azzurre dei nontiscordardimé.
Sono a casa, finalmente, tra la pace di questo declivio ed il Cornella,
splendida coreografia della mia giovinezza.
La ruota del vecchio mulino ad acqua macina,
macina lentamente come il tempo ha fatto con la vita mia passata.
Gira la ruota e macina ora come allora, tutto sembra immutato nel silenzio,
prezioso per me, nella lentezza delle cose fatte con amore e per amore.
Silenzio, come mi sembrano lontani i rumori della quotidianità.
Ripenso a mia madre, la rivedo qui con me bambina dalle lunghe trecce bionde,
gli occhi azzurri e le efelidi attorno al naso.
Venivamo qui a seguire la macina del nostro granturco,
il mugnaio lo prendeva nel granaio del cortile e lo macinava al mulino.
Stesa sull’erba appena tagliata ora assaporo ad occhi chiusi
Poi alzando gli occhi al cielo azzurro.
Mi sento come fossi tornata da un lungo, periglioso viaggio,
stanca ma fiduciosa di trovare la pace di cui ho bisogno.
Eccomi qui, fallimento di donna,
a leccarmi le ferite dell’anima.
Volevo solo il suo amore, ho fatto di tutto per meritarlo,
nonostante il mio sforzo mi è stato negato.
Non piangerò più, vivrò qui e adesso.
Lascerò solo uscire queste due lacrime che mi pungono ai lati degli occhi,
sono due perle salate , stillate dal cuore,
luccicheranno al sole della Vallina, parlando il linguaggio muto del dolore.