I I
INTRODUZIONE
Mario fin da bambino aveva una passione sola, la meccanica e più genericamente la tecnica.
Da ragazzino stava per ore intere nell’officina di un fabbro ad ammirare il suo lavoro.
Era incantato nel vederlo prendere con una grande pinza il ferro arroventato dal calore della forgia e, una volta appoggiato sull’incudine, per ricavarvi sia un ferro di cavallo , oppure un catenaccio od un ringhiera o qualunque attrezzo di lavoro, lo batteva ripetutamente e con forza usando una pesante mazza e praticando opportuni e continui aggiustamenti .
Oltre a questi particolari molto interessanti, era tutta l’officina fabbrile a costituire un ammirabile capolavoro non solo specificamente per Mario ma invece per le sue caratteristiche straordinarie che avrebbero incuriosito chiunque. Oggi non si potrebbe nemmeno rendersi conto delle condizioni di lavoro allora usuali.
L’OFFICINA DEL FABBRO
Un’officina, oggi sarebbe dotata di più macchine elettriche di lavoro ognuna delle quali munita di un proprio motore elettrico di adeguata potenza e grandezza, e per averlo in moto, basterebbe soltanto schiacciare un bottone.
Allora non era così perché, in tutta l’officina, anche se di grande superficie, era installato a pavimento un solo motore elettrico al quale spettava l’onere di far ruotare ognuno degli attrezzi di lavoro in quanto collegati tramite una lunga cinghia di trasmissione del moto rotatorio, Per raggiungere tale scopo, le pareti dell’officina erano dotate di un lungo asse rotante munito di pulegge con le quali, servendosi di apposita scala a pioli, era possibile realizzare il collegamento della cinghia una per una oppure contemporaneamente di tutte le macchine utensili da lavoro e quindi metterle in moto.
Per esempio il lavoro descritto di sagomatura a caldo del ferro, doveva essere preceduta dalla posa in opera della lunga cinghia che faceva girare vorticosamente il ventilatore della forgia il quale a sua volta provvedeva a soffiare molta aria e pertanto ad attizzare il fuoco del carbone onde riscaldare la massa ferrosa fino al suo colore rosso per poterla modellare poi sull’incudine..
Era tutto questo ma non solo, che entusiasmava Mario tanto da farlo testare li incantato. Infatti il fabbro, che da tempo si era reso conto dell’interesse di Mario, un giorno gli preannunciò che avrebbe iniziato la costruzione di una grande macchina ausiliaria chiamata maglio meccanico. Mario, pur non avendo idea di cosa fosse quel nuovo attrezzo di lavoro, si fece coraggio e chiese al fabbro se poteva spiegargli qualcosa di più. Il fabbro raccontò che si trattava di un grande martello meccanico che gli avrebbe risparmiato la grande fatica di battere il ferro a caldo. Quando avrò il maglio, gli disse, sarà sufficiente che io tenga con la pinza il ferro rovente sotto la mazza battente di esso in quanto sarà lui a sostituirmi nella modellazione del ferro rovente permettendomi di arrivare senza faticare e velocemente alla sua forma definitiva. Tutto questo finiva per entusiasmare sempre di più il ragazzo che pregustava già il doppio piacere di assistere, prima alla appassionante costruzione del maglio e successivamente al suo uso. Il fabbro per solleticarlo ancora di più gli fece vedere che aveva già trovato un elemento importante del maglio. Gli spiegò che il pesante martello meccanico quando dall’alto piombava sul ferro rovente, aveva bisogno di una certa elasticità di movimento poiché, se invece fosse stato rigidamente collegato con il resto della struttura, ad ogni sua violenta battuta, avrebbe provocato dei dannosi scossoni . Così non sarebbe affatto accaduto nella nuova macchina perchè, avendo interposto la balestra elastica, egli si sentiva sicuro di aver isolato la massa battente da tutto il resto salvandolo da ogni inconveniente. Mario rispose che aveva capito perfettamente anzi gli disse che lo stesso guaio ovviamente avveniva anche nel braccio del fabbro quando batteva il ferro rosso, Egli restò meravigliato dell’acutezza mentale del ragazzino e reagì facendogli una grande confidenza. Mario, gli disse, io da tempo cullavo un pensiero che ora voglio dirti. Quando avrai finito di andare a scuola tu potrai venire a lavorare qui ed io sarò molto contento di averti come mio aiutante e ti insegnerò a lavorare bene. Pensa che io ho due figli più grandi di te e nessuno dei due vuole intraprendere il mio lavoro da fabbro. Mario gli disse: le garantisco che io da sempre che non sogno alto che, da grande, fare questo lavoro che mi piace tantissimo.
Da quel giorno in avanti la presenza di Mario quale spettatore, era diventata non solo più frequente ma anche più interessante per motivazioni diversificate. Mario non solo ebbe modo di ammirare il lavoro ordinario del fabbro ma soprattutto assistere all’intera costruzione del maglio meccanico seguendola direttamente e con continuative domande e spiegazioni di tutti i particolari costruttivi della grande macchina .
Quando poi ebbe inizio l’impiego del nuovo importante mezzo di lavoro, Mario poté congratularsi e godere assieme al fabbro del successo ottenuto da un attrezzo cosi potente essendo ben noto che esso era interamente frutto del lavoro del fabbro.
La soddisfazione di Mario raggiunse il massimo quando il fabbro gli annunciò che aveva l’incarico di costruire un’aquila con le piume di rame e con le ali che avrebbero dovuto sbattere essendo mosse dalla forza del vento premente su una grande elica che il cliente aveva già acquistato da un campo di vendita dei residuati bellici. Si trattava infatti dell’elica di un grande aereo americano chiamato fortezza volante prima usato nella guerra e successivamente demolito mettendo in vendita i vari componenti. Mario allora gli disse che andando a scuola nella vicina cittadina egli aveva scorto quattro aquile in bronzo costruite dal Rizzarda, noto artista del ferro, e che pertanto il fabbro avrebbe potuto trarne utili notizie. Il fabbro ebbe così modo di trovare conferma della prontezza di Mario nel partecipare attivamente al suo lavoro. Approfittò per spiegargli le prime idee. Egli aveva pensato ad un’aquila che girasse attorno ad un perno centrale essendo spinta dall’elica. All’interno del corpo – manufatto egli aveva progettato di utilizzare tale rotazione per far muovere le ali. Si sarebbe quindi trattato di un grande uccello che, allo spirar del vento, avrebbe girato su sé stesso sbattendo le ali. Mario a quel punto è intervenuto facendo notare che che, a suo giudizio, l’aquila avrebbe dovuto girare molto lentamente intorno a sé stessa mentre le ali sbattevano normalmente. Il fabbro riconobbe la giustezza dell’osservazione assicurandolo che l’avrebbe messa in atto aggiungendo che quello del ragazzo era un ragionamento valido e che considerava vero il fatto che facendo girare piano piano il grande uccello si sarebbe notato meglio il movimento veloce delle ali. Da quel giorno la considerazione di Mario era diventata quasi indispensabile al fabbro che ritenne utile continuare a chiederne un parere man mano che procedeva il suo lavoro. Nei riguardi dell’aquila sussistevano continui problemi. Infatti per ottenere la auspicata lentezza di rotazione e contemporaneamente una discreta velocità nel movimento delle ali, egli dovette costruire, sempre manualmente, degli ingranaggi che abbinati tra di loro avrebbero ottenuto i risultati sperati. In verità Mario. senza aver possibilità di prova, dentro di sé aveva seri dubbi sul funzionamento effettivo del manufatto finito. Questo dubbio venne confermato a distanza di anni perché l’aquila, poi regolarmente ultimata ed installata su un elevato piedistallo, non ebbe mai da dare la soddisfazione di farsi notare per lo sbattere le ali. In parte l’insuccesso fu dovuto al fatto che il proprietario della zona monumenti dove essa era stata installata dovette per questione di salute abbandonare la manutenzione dei delicati monumenti e per arrivare alla alienazione di tutta l’area ad un privato il quale a sua volta smontò il tutto vendendo pezzo per pezzo i monumenti, aquila compresa. Oggi quell’aquila fà bella mostra di sé sulla piazza del paese essendo totalmente immobile ma con la ali aperte.
IL PROSEGUIMENTO DELLA SCUOLA DI MARIO
Mario, avendo ultimato la scuola media, era in procinto di decidere con i famigliari sul percorso da seguire per il futuro.
Ebbe allora inizio una discussione piuttosto complessa in quanto, viste le premesse descritte e riguardanti il fabbro e la sua officina, Mario insisteva sulla scelta di studi relativi lala tecnica ed in particolare la meccanica. Essendo impossibile l’accesso all’università a causa delle difficoltà economiche famigliari, egli auspicava il diploma di perito meccanico. Purtroppo il padre lo fece ragionare in modo totalmente diverso . È appena finita una guerra disastrosa ed ora, arrivata la pace. ci sarà bisogno di costruire case di abitazione , strade, ponti e capannoni industriali e quindi noi riteniamo opportuno tu diventi geometra., gli disse il padre.
Mario dovette riflettere e considerare bene le decisioni della famiglia e, dopotutto, sentirsi contento di poter continuare oltre la scuola media. In tutto questo era di grande soddisfazione il fatto che per la gran parte dei suoi amici, della stessa età e stesse possibilità economiche familiari, erano stati costretti a finire i propri studi con le sole scuole elementari mentre egli stesso aveva già frequentato le medie che in quei tempi non erano comprese nell’obbligo scolastico. Mario era un ragazzo giudizioso e riflettendo bene diventò possibilista nei riguardi della scelta dei genitori. Inoltre la sua viva intelligenza lo indusse ad approfondire i fatti, prima di tutto informandosi sui contenuti della suola che i genitori avevano già scelto per lui. Si recò alla scuola geometri più vicina e si fece consegnare l’elenco delle materie che si studiavano e che risultò così composto : Religione o attività alternative; Lingua e lettere italiane; Storia; Lingua straniera; Elementi di diritto ed economia; Matematica ed informatica; Disegno e progettazione; Costruzioni; Topografia e fotogrammetria; Impianti; Geopedologia, economia, estimo; Educazione fisica. Dall’esame dei programmi restò subito colpito da una materia che non conosceva per nulla “ Topografia e fotogrammetria “ e pensò immediatamente di approfondirne le caratteristiche venendo a scoprire un mondo intero molto interessante. Gli piacque prima di tutto la materia di studio ma fu soprattutto nel settore più importante e cioè in quello del suo utilizzo effettivo nel campo del lavoro che Mario restò estasiato. Stava constatando che si trattava di un settore vastissimo e basilare per moltissimi campi dell’attività umana in quanto, partendo dal modo di conoscere, rilevare e rappresentare il territorio in cui operare scopri, ancora più felicemente, che la materia dove il geometra rappresentava la principale preparazione ed attitudine era il tracciamento di tutte le opere piccole e grandi da costruire. Approfondendo le informazioni sulla costruzione di quelle più importanti del momento come per esempio la realizzazione dei mastodontici impianti idroelettrici che comprendevano opere eccezionalmente complesse Mario poté constatare che la persona che forniva tutti gli elementi appunto chiamati topografici e cioè la materializzazione sul posto delle opere medesime in tutti i loro dettagli, tutto questo era per lo più opera del geometra.
Tutto ciò aveva grande corrispondenza con quello che gli piaceva di più . In sostanza egli veniva a sapere che l’esecuzione di tutte le opere edili grandi o piccole, avrebbero potuto essere di fatto tracciate da egli stesso qualora fosse diventato geometra. Il suo pensiero andò subito al lavoro del fabbro quando si doveva decidere che dimensioni e che forma dare al manufatto in sostruzione. Ebbene all’indomani poteva essere egli stesso a definirle, ricavando dal progetto, tutti gli elementi indispensabili ed ancora ben più interessanti di quelli relativi al lavoro del fabbro. Ma a Mario accadde un fatto ancora più eccezionale. Egli avverti nella sua mente un’apertura fondamentale, una regola che sentì costituire la base, il fondamento di tutta la sua vita. In altre parole egli si era convinto che, qualunque fosse nel suo futuro l’attività da svolgere sia edile, sia commerciale oppure di studio, egli stesso ricercando a fondo e proprio li dove lavorava, egli, cosi come era riuscito a scoprire nella scuola le materie interessanti, nello stesso modo egli sarebbe sempre riuscito a scovare un settore che lo interessava e nel quale egli si sarebbe impegnato con tanta passione e quindi con soddisfazione.
Mario fatta questa constatazione, ne restò cosi soddisfatto da volerne discutere in famiglia spiegando il suo convincimento in un primo tempo relativo alla scelta della scuola per geometri che egli stesso dichiarava essere quella congruente con le sue attitudini e poi estendendo il ragionamento a tutto il suo futuro ed assicurando i genitori che egli, arrivato a quella età che aveva effettivamente, si sentiva fiducioso di riuscire in quei settori di lavoro che gli sarebbero stati affidati perché, a suo avviso, ogni volta gli sarebbe riuscito a scovare. Il padre resto molto contento e si complimentò con lui.
Quello che accadde dopo è veramente stupefacente.
LA SCUOLA
Mario, per frequentare l’istituto geometri più vicino, dovette risiedere nei giorni feriali in una piccola pensione assieme ad altri studenti tra i quali uno aveva uno zio che era un grande imprenditore che costruiva proprio impianti idroelettrici. Quel giovane amico era già sicuro di avere presso lo zio il posto di lavoro. In questo senso Mario ebbe assicurazione che questi, una volta assunto in una delle ditte del parente, avrebbe fatto in modo di far avere lavoro anche a lui grazie all’amicizia che era nata e soprattutto alla bravura di Mario nello studio soprattutto della topografia. Mario però fu di diverso avviso. Egli si fece promettere di un piacere diverso e sicuramente più facile da ottenere anche prima ancora di finire gli studi. Egli chiese all’amico di far in modo che egli potesse, fin dalle prossime vacanze estive., di poter, del tutto gratuitamente, fare l’aiutante del geometra addetto ai tracciati della grande impresa dello zio e tutto questo perché la cosa che più interessava a Mario stesso era prendere conoscenza dal vero delle operazioni topografiche. Questo fatto fece sì che egli fin dalla successiva estate potesse fare il canneggiatore di aiuto al geometra per tutto il periodo estivo. In questo modo Mario venne a conoscenza diretta di un lavoro che lo interessava enormemente.
. Da allora egli poté imparare dal vivo cosa voleva dire tracciare un’opera importante anche perché aveva modo di approfittare per chiedere tutti i chiarimenti del caso ottenendo dal geometra topografo di cantiere tutte le istruzioni atte a capire nel dettaglio in che cosa consisteva esattamente il lavoro di tracciamento e soprattutto quali erano le cautele e le furbizie da adottare per evitare errori. La cosa era particolarmente indispensabile nella costruzione di quell’enorme manufatto che era la diga ad arco cupola. Tale lavoro era così composto. La mattina quando si di apriva il cantiere il primo lavoro era quello del geometra topografo che doveva segnare con dei chiodini infissi sul cemento oppure su tavolette a sbalzo, i punti esatti che duramente la giornata avrebbero dovuto assumere le casseforme di getto fino ad una quota superiore di due metri rispetto a quella di getto già raggiunta. Appena finito il tracciamento entravano in funzione i carpentiere i che rialzavano la cassaforma messa il giorno prima per portarla a coincidere con i nuovi punti usando semplicemente un filo a piombo. e quindi poter dar inizio al getto dei due metri di diga. Si capisce bene l’importanza del tracciamento di quei chiodini perché da essi dipendeva la forma della diga che era né più né meno che una enorme cupola sferica verticale ed un eventuale errore avrebbe avuto conseguenze gravissime non solo dal punto di vista estetico che sarebbe stato immediatamente rilevato ma soprattutto da quello della statica del grande sbarramento che per poter resistere alla enorme spinta dell’acqua del costruendo lago doveva avere esattamente la forma di progetto. In poche parole il lavoro di tracciamento mattutino doveva essere finito in mezz’ora poiché alle 7 e 30 entravano in funzione i carpentieri che, smontate le casseforme del giorno prima, dovevano in tutta fretta rialzarle di due metri e. A sua volta il geometra tracciatore aveva tutta la giornata di tempo per ricavare dalle equazioni matematiche che definivano nello spazio la conformazione dello sbarramento, le coordinate cartesiane dell’opera stessa e necessarie per ubicarne i chiodini di tracciamento. Una volta in possesso di tutte le coordinate restavano da calcolare tutte le misure per il loro posizionamento in opera facendo riferimento ai punti fissi presenti intorno al cantiere. Importante rilevare come tutto il procedimento descritto a partire dai calcoli a tavolino per continuare con la posa dei chiodini di segnalazione e per finire con la costatazione finale che la diga man mano che sorgeva andava a costituire una enorme struttura sferica bellissima a vedersi, costituiva per Mario un sogno, una soddisfazione ed infine un enorme entusiasmo per quanto riguarda egli stesso anche se allora egli era soltanto l’aiutante del geometra incaricato ad eseguirli in tutte le varie fasi.
IL PRIMO INCARICO DI GEOMETRA TRACCIATORE
Finita con successo la scuola Mario ebbe occasione di essere interpellato da quel suo amico che aveva uno zio imprenditore in quanto c’era la possibilità di sostituire il topografo tracciatore di una diga in costruzione che cessava di lavorare per anzianità. Si trattava di una occasione unica in quanto l’attuale tracciatore prima di cessare gli avrebbe spiegato tutte le procedure seguite fino a quel momento in modo che egli potesse prendere in mano facilmente la continuazione del tracciamento senza nulla modificare.
Mario accettò ben volentieri l’incarico e passò una quindicina di giorni assieme al topografo per capire bene le modalità fino allora usate. Quando pero però restò solo e responsabile del tracciamento egli comunicò alla direzione che intendeva adoperare nuovi metodi sia di calcolo dei dati che egli ben conosceva. sia sulla loro materializzazione in quanto, diventando egli stesso responsabile del proprio lavoro, intendeva adoperare altre modalità a lui ben note. Da quel momento egli aveva su di sè tutta la responsabilità ma anche tutta la soddisfazione di vedere la diga crescere perfetta nella forma sferica che era imposta dal progetto. Gli accadde però un episodio che, pur se di minima importanza, lo colpì in modo così forte che non lo avrebbe mai dimenticato nella sua vita, Egli aveva indicato bene al carpentiere di turno che due punti tracciati da lui stesso sulla diga non facevano parte del tracciato vero e proprio ed a tale scopo li aveva fatti dipingere di rosso. Al momento di sistemare la posizione delle casseforme il carpentiere dimenticò la raccomandazione e posizionò la parete su quei punti fasulli. Questo fatto, la cui colpa alla fine ricadeva su Mario da vero responsabile quale egli era, provocò sia a destra che a sinistra della diga due piccole irregolarità quasi insignificanti però visibili a chi, come Mario, che ne era al corrente li guardasse con insistenza. Si ripete che questo inconveniente, che passò del tutto ignorato visto che era quasi insignificante, però per un tipo scrupoloso come Mario costituì una ferita incancellabile e questo sarà confermato in un episodio che sarà precisato verso la fine di questo racconto.
Di contro Mario ebbe una grande soddisfazione. E’ da rilavare come il corpo di quella diga fosse dotato nella parte superiore di uno sfioratore cioè di un’apertura longitudinale che consentiva di far sfiorare a valle tutta l’acqua che fosse arrivata in eccesso rispetto alla quota di massimo invaso del lago. Questo particolare comportò la presenza di una fila di pile in tutto lo lo sviluppo orizzontale della diga e soprattutto la costruzione del soprastante ponte necessario per il transito stradale, ponte che come tutta la diga aveva un andamento planimetrico totalmente in curva . Al momento di costruire la cassaforma in legno necessaria per il getto delle travi e della soletta finale che erano planimetricamente degli archi di cerchio di grande raggio, Mario propose di evitare che, come era consuetudine, venisse costruita direttamente sul posto ma invece di realizzare tutte le casseforme nella falegnamerie impegnandosi egli stesso di predisporre i tracciati direttamente in falegnameria e di seguire personalmente la costruzione dei falegnami in modo da poter al momento opportuno spostare con la gru direttamente sulle pile della diga pezzo per pezzo tutta la cassaforma del ponte fatto a settore circolare. La sua proposta venne accettata ed il giorno in cui Mario vide arrivare in cantiere tutte le varie casseforme e potè constatare che, grazie alle esatte disposizioni fornite direttamente ai legnami ogni elemento quando calava dall’alto andava a comporre esattamente l’intero ponte stradale dando la possibilità di mettere i ferri anch’essi predisposti fuori opera e di gettare speditamente tutto il calcestruzzo necessario per realizzare l’intero ponte stradale.
Finita completamente la diga Mario fu trasferito in altri cantieri dove ebbe modo di esplicare incarichi, sempre di natura topografica, ma molto diversificati e per i quali si dimostrò veramente capace.
LA CONCLUSIONE
Passarono molti anni.
Mario, da pensionato, pensò di visitare la diga di Stramentizzo sita nel Trentino a Molina di Fiemme che era stata la prima diga che aveva tracciato egli stesso a soli 21 anni di età. Vi si recò con una comitiva di parenti e di amici . Quando si mise a percorrere a piedi il lungo ponte della diga cominciò a spiegare le sue prodezze di neo topografo ed enfatizzando che che egli a quella giovane età aveva posizionato le casseforme di quel corpo diga e, dettaglio di non poco conto, fatto costruite in falegnameria la cassaforma di tutto il ponte facendola trasportare ed assistendo personalmente alla sua stupefacente posa in opera sulle pile costruite in precedenza. Qualcuno dei presenti avanzò dei dubbi sulla veridicità di quelle avventurose vicende che stava raccontando e Mario cominciò ad indispettirsi non riuscendo a tollerare quella mancanza di fiducia. Improvvisamente si sovvenne di una circostanza del tutto particolare. Affermò che in quel momento si sentiva in obbligo di fornire una prova certa. Li fece camminare fino ad un certo punto che conosceva bene e li fece sporgere dalla parte dl lago per osservare bene la superficie sferica della diga chiedendo se qualcuno vedeva qualcosa di speciale. Quando uno degli osservatori individuò e descrisse la piccola irregolarità che aveva notato nel paramento diga, Mario aggiunse che quella anomalia cosi poco visibile nessuno potrebbe averla notata ad eccezione di colui che la aveva provocata effettuando un errore di tracciato. Tale persona non poteva essere che egli stesso che in quel momento la stava segnalando,. Ma ora vi darò una ulteriore prova. Nessuno al di fuori di quella persona può sapere che un errore di tracciato è duplicato anche nell’altra spalla della diga per via della costituzione simmetrica rispetto al suo asse verticale. Li condusse allora dall’altra parte della spalla diga e fece constatare che il difetto era ripetuto anche lì.
Come finale di questo racconto si afferma che Mario da un difetto che era costituito in una sua grave pecca, ne aveva ricavato una grande soddisfazione.